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Ultima modifica: 11 Ottobre 2018
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Concorso "Mille e una storia"

Primo e secondo premio agli studenti del Tosi

 

Venerdì 21 novembre presso la Sala Tramogge dei Molini Marzoli a Busto Arsizio si è svolta la serata di premiazione di ‘Mille e una storia’, concorso indetto dalla rivista L’Informazione, giunto quest’anno alla quinta edizione.

Tra i protagonisti dell’evento si sono distinti i nostri studenti Elisa Raimondi, con il racconto ‘L’eremita pazzo’ che ha ottenuto il Primo premio della categoria studenti, e Nicholas Ciapponi, secondo classificato, con il racconto ‘Sognare la normalità’. (articolo dell’Informazione – Prealpina)

Molti altri alunni del Tosi hanno partecipato con entusiasmo e creatività e i loro racconti sono raccolti nel volume Mille e una storia, presto in distribuzione anche presso il nostro Istituto.

Il racconto di Elisa

L’EREMITA PAZZO

L’ultimo esame di Medicina mi aveva esaurito fisicamente e psicologicamente: sentivo un bisogno profondo di rimanere sola per riprendermi e fare ordine nei miei pensieri. L’entusiasmo dei primi anni di università si era dissipato. Entro pochi mesi avrei dovuto scegliere la specializzazione, ma non avevo le idee chiare. Decisi così di trascorrere qualche giorno in montagna, nella nostra casetta tra gli abeti e i castagni, un approdo sicuro nei momenti di sconforto e inquietudine. Furono sufficienti due giorni perché l’aria di montagna producesse i suoi benefici effetti. Quel mattino mi svegliai di buon’ora: il cielo era terso, neppure una nuvola, e così decisi di salire con la funivia fino ad una località denominata “La Piana” per provare a raggiungere i Laghetti di Moino. Papà ci era andato spesso e mi aveva più volte decantato la bellezza di quei luoghi. Sapevo che non era un’escursione facile, ma volevo almeno provarci: era una sfida con me stessa e un’ottima occasione per riflettere sulla mia vita e su quello che sarebbe potuto essere il mio futuro. Dopo circa tre ore di cammino, incontrai un giovane che procedeva sul sentiero in senso opposto:gli chiesi se ero sulla strada giusta e quanto mancasse per arrivare a destinazione. Ci fermammo a chiacchierare e mi rassicurò che entro un paio d’ore sarei giunta ai laghetti. Sul punto di salutarci, mi sorprese con una frase: “Fai attenzione al bivio che troverai tra circa un’ora: tieni la destra, altrimenti arrivi a una baita dove dicono viva un tizio un po’ fuori di testa. Sei una ragazza da sola, insomma … non si sa mai”. Lo ringraziai per l’avvertimento: ci mancava solo di imbattermi in un eremita pazzo per turbare la mia precaria tranquillità mentale. Mentre salivo, rimuginavo sulla scelta della specializzazione che da lì a poco avrei dovuto compiere: ero indecisa tra Psichiatria o Pediatria. Giunta al punto in cui il sentiero si biforcava, improvvisa come un fulmine, la decisione: ero più affascinata dalla tortuosità del pensiero umano che dai bambini. Sarei diventata psichiatra, o almeno ci avrei provato. Lì, a quel bivio, mi tornò in mente un proverbio sentito l’estate precedente mentre ero in vacanza al Rocky Mountain National Park: “Ci sono momenti in cui, per avere i piedi per terra, occorre avere la testa tra le nuvole”. Era vero: là, vicina alle nuvole, decisi il mio cammino. Incurante delle raccomandazioni ricevute, presi sicura il sentiero di sinistra, sorprendendomi a pensare “Vado a trovare il mio primo paziente”. Sarete curiosi di sapere se quel giorno trovai veramente l’eremita pazzo. Ebbene sì, lo trovai, e mi innamorai della sua “follia” tanto da decidere di condividere la sua anormalità. Marco, così si chiamava quell’uomo che ora è mio marito, fino all’anno prima era stato un guru della finanza: muoveva enormi quantità di denaro, viveva nel lusso sfrenato, conosceva gente potente e qualche volta era giunto a valicare i margini della legalità. Fortunatamente era riuscito ad avvertire la puzza di quell’universo marcio prima di esserne soffocato: così aveva abbandonato il mondo in cui era vissuto e aveva deciso di isolarsi in quella baita lontana da tutto e da tutti, per iniziare una sorta di cura disintossicante, vivendo dell’essenziale. Cosa ne è stato di noi? Gestiamo un agriturismo in Umbria e cerchiamo di insegnare ai nostri figli l’importanza di creare un giusto equilibrio tra cielo e terra, staccandosi dalle preoccupazioni terrestri per volare verso nuovi orizzonti ed evadere nell’immaginazione. È vero che occorre tenere i piedi per terra, ma dobbiamo consentirci, almeno ogni tanto, di avere la testa fra le nuvole.

Il racconto di Nicholas

SOGNARE… LA NORMALITÁ

Sono un ragazzo di quattordici anni e come tutti i ragazzi della mia età ho la testa un po’ tra le nuvole e un sogno nel cassetto. Il mio sogno non è una cosa difficile da raggiungere, come il diventare un calciatore professionista, un pittore o un musicista di fama internazionale o recitare nei teatri più belli del mondo; il mio sogno purtroppo è per me impossibile (o quasi) da raggiungere. La consapevolezza di non poter riuscire a realizzare il mio sogno me lo fa odiare e così, mentre tutti i miei amici si impegnano per realizzare il loro desiderio, io non posso fare altro che avere rimpianti e mi arrabbio ogni volta che mi viene in mente; anche se so che non c’è nessuno con cui prendersela per il semplice fatto che la colpa non è di nessuno. Il mio sogno nel cassetto (che ho da ben tredici anni) è quello di fare una corsa al parco vicino alla casa dei miei nonni in montagna, in Val Vigezzo dove trascorro tutte le feste natalizie e gran parte di quelle estive, per sentir una volta l’ aria che mi scompiglia i capelli, per provare a battere in velocità il mio migliore amico Alessandro, per provare a prendere le lucertole sui muri con molta astuzia e attenzione visto che scappano con una velocità incredibile. Voi direte che sono pazzo perché questo per voi non è assolutamente un sogno e se anche il sogno di un ragazzo fosse questo, di certo non sarebbe impossibile da realizzare, anzi sarebbe facilissimo perché l’azione del correre è banalissima, quasi spontanea, che tutti fanno almeno una volta al giorno: chi per prendere il tram o il treno per andare a scuola, chi per giocare con i propri amici e c’è chi la fa per non arrivare in ritardo al lavoro o per non perdere l’ aereo con cui viaggiare. Anche a me piacerebbe vedere l’azione del correre come qualcosa di facilissimo e banale, come un gesto quasi automatico e desidererei ancor di più poterlo svolgere una volta al giorno insieme ai miei amici, ma, purtroppo non posso perché io ho perso l’uso delle gambe un anno dopo la mia nascita a causa di una malattia e da quel momento le mie gambe sono le ruote della mia sedia a rotelle. Anche se mia mamma continua a ripetermi che sono un ragazzo normale, uguale agli altri, per convincermi di questo, io so che non lo sono, lo capisco e l’ho capito da molte cose; ad esempio non posso seguire il corso per il patentino del motorino con i miei compagni di scuola, non posso praticare il mio sport preferito (il tennis) con gli amici e in una società per migliorare la mia tecnica, ma, una cosa che mi fa ritornare con la testa nel mondo reale quando per sbaglio viaggio con la fantasia sono le occhiatacce o il modo di squadrarmi che alcune persone mi dedicano, però nonostante tutto io non mi piango addosso e questo problema che ho mi fa guardare il lato positivo in tutte le cose che riesco a fare quotidianamente e mi fa apprezzare l’aiuto che i miei cari mi dedicano ogni giorno. Come detto all’ inizio il mio sogno è QUASI impossibile da realizzare perché una soluzione c’è ed io continuerò a sperare e magari un giorno riuscirò a tornare con i piedi per terra.